Gente di Dublino

di James Joyce

(Einaudi,2015)

Confrontarsi e riconfrontarsi con i classici, con i luoghi della letteratura che hanno segnato il Novecento, è sempre un’immersione dentro un universo che bisogna immaginare. La vita degli irlandesi di Dublino dell’inizio del secolo, la loro mentalità, la loro lotta continua con la Gran Bretagna con cui pur condividono un grande patrimonio culturale, il loro modo di essere cattolici, che segna un’identità nazionale oltre che marcare una differenza religiosa. E bisogna anche immaginare la vita in una città che era pur sempre la più grande di Irlanda, contrapposta alla vita di campagna e quindi popolata da gente della middle class, che arranca per mantenere il suo status piccolo borghese con espedienti di sopravvivenza. Avanzano, man mano che si leggono i racconti, via via scapoli gelosi del loro status, ragazze che vogliono “sistemarsi”, impiegatucci, bottegai, cantanti d’opera, pretuncoli. Tutti con le loro piccole umiliazioni e rabbie quotidiane, con le violenze familiari, e gli sguardi furtivi ovunque. Alcuni racconti sono scritti in prima persona, altri in terza, ma il punto di vista è sempre il loro, quello dei dubliners, con le loro piccole, veramente piccole virtù, e le loro piccole manie: il sesso che fa capolino di qua e di là, tentatore subdolo e sempre presente, e l’alcool che rinfranca, da soli o in compagnia. Birra, vino, ponce. Gente che sa divertirsi, sempre però con una malinconia, a volte palesemente triste, a volte solo accennata. Quadri pieni di vita e di ironia che si spengono nella notte dell’ultimo capolavoro: il racconto  I morti. Un ragazzo che muore per una ragazza. E poi un uomo che muore per la donna che la ragazza è diventata. Mentre udiva la neve cadere lieve su tutto l’universo.

Con questo racconto si chiude Gente di Dublino. Da lettrice ho trovato questa raccolta realistica e affascinante, capace di sondare nelle pieghe delle riposte speranze e delusioni di questi uomini e di queste donne. Sicuramente un testo più abbordabile e, secondo me più affascinante dell’Ulisse, dove in alcuni capitoli la sperimentazione spinge la letteratura verso un’intellettualizzazione che non è immediatamente percepita come gradevole, ma appare di ostacolo a una fruizione proficua.

Qui, invece, tutto è immediato, ritratto con un pennello che rende i dublinesi più veri del vero, disegnati con linee precise che li fanno emergere dalle strade nere di pioggia o bianche di neve.

Pubblicato da Ninetta Pierangeli

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